Come sono arrivata a WordPress… e perché consiglio di fare altrettanto – anche grazie a Siteground.it!
WordPress.org, non WordPress.com.
Così dice la rete, con varie spiegazioni di cui la più convincente è che WordPress.org gira (anche) su Siteground.it, un servizio di hosting che parla italiano e che ha una chat appunto nella tua lingua e molto veloce nel rispondere.
ma in realtà è abbastanza evidente che da qualche parte il tuo blog deve stare – cioè ci vuole qualcuno appunto che lo “ospiti” – quindi decidi che te ne stai (anche se a te, a dir la verità, la parola hosting continua a ricordare tanto, e solo, le baite che ti accoglievano durante le passeggiate in montagna)
e rimani piacevolmente colpita del fatto che è vero, rispondono subito, sono molto gentili, e, a meno che non sia notte fonda nel qual caso facilmente ti trovi a porre i tuoi quesiti in inglese, sì: parlano italiano.
Così, si ricomincia: abbandoni Blogger, compri l’hosting per un anno (con lo sconto, una sessantina di euro), poi vai su WordPress.org e sei pronta ad intraprendere la strada verso il tuo blog.
– che poi è il tema, ma ormai hai imparato che chiamarlo in inglese fa decisamente più gergale, da una che se ne intende, cioè, quindi…
Quindi lo scegli.
E dato che ormai ti senti molto vicina a diventare una professionista, ne compri uno, anzi due (WordPress ne offre ovviamente gratuiti, ma l’impressione è che se vuoi fare qualcosa di carino devi aggiornare alla versione pro, che tradotto, in questo caso, significa: pagare le estensioni della libertà che ti viene lasciata nell’estetica del sito), perché il primo che hai comprato è bello, ma in effetti non riesci neppure a cominciare a farlo funzionare..
inserisci foto, riporti i tuoi post non senza esserti interrogata inutilmente su quale accidenti sia la differenza tra “pagine” e “articoli”. Alla fine, ignorando i molti avvertimenti della rete riguardo al fatto che la pagina è statica, l’articolo no, semplicemente prendi atto che i tuoi pezzi li devi scrivere come articoli, e rimandi il pensiero ad altra, più matura, fase.
Ma il risultato non è quello che desideravi. Ci sono sezioni che probabilmente non utlizzerai mai (ad esempio quelle sul prezzo dei prodotti) ed altre che invece proprio non riesci a inserire senza rendere il tutto tremendamente triste.
Poi la ragazza di tuo figlio – lei stessa occupata a “farsi un sito” – ti guarda con occhi da cerbiatta e pronuncia dolce la sentenza: “Secondo me questo template per te non va bene”.
Così, opportunamente consigliata dalla cerbiatta, cambi di nuovo.
E ricominci a picchiarti con le personalizzazioni.
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