Radio 21 aprile Web incontra Giovanni Salvatori, attore, che ci parla della sua passione per il teatro dell’improvvisazione.
“Fino ai miei quarant’anni per me il palcoscenico era semplicemente un altro pianeta. Poi sono andato a provare spinto da un amico, e due ore
dopo era diventata la passione della mia vita”.
Così Giovanni Salvatori racconta il suo incontro con il teatro, ed in particolare con il
teatro di improvvisazione.
Del quale teatro di improvvisazione, prima di parlare con Giovanni,
personalmente ricordavo solo quei rapidi riferimenti sui banchi del liceo:
L’improvvisazione esisteva fin dai tempi di Aristofane,
diceva il mio prof di greco con la sua erre moscia.
E: la
tecnica dell’Improvvisa,
diceva invece la prof di italiano
– quella prof indimenticata che da ragazza aveva tirato di scherma ed ora fumava una sigaretta dietro l’altra –
la tecnica dell’improvvisa, quella era il
fondamento della Commedia dell’Arte nata a metà del 1500,
ed era caratterizzata dal fatto che gli artisti si avvalevano di
Ma nulla di più.
Cosi, ascoltare Giovanni è stato come aprire gli occhi su
e che aveva decisamente bisogno di una spinta (questa spinta) per diventare affascinante per me.
Con Giovanni, scopro che
ne sono stati maestri
e che
Così,
i modelli di spettacolo si chiamano
ed il loro sviluppo dipende direttamente da come chi assiste risponde a quel che avviene non solo davanti ma anche dentro lo stesso pubblico ;
che esiste una
che individua il contesto dello spettacolo
e che le prove, significativamente, si chiamano
E soprattutto che l’elemento più importante è rappresentato dalle
Per questo, ci dice Giovanni Salvatori, l’improvvisazione significa vivere il momento essendo completamente aperti verso i compagni,
raggiungendo cioè quello che Salvatori definisce
Insomma, per continuare ad usare parole di Giovanni Salvatori,
l’improvvisazione può essere equiparata ad una
Una costruzione però, avverte Salvatori, che funziona solo se tutti collaborano senza prevaricare gli altri,
e se tutti hanno ben chiaro in mente che quel che avverrà semplicemente non potrà ripetersi più.
Per questo, dice Giovanni Salvatori (ed è uno scherzo solo a metà secondo me),
“spesso noi attori non abbiamo capito nulla di quel che è avvenuto sul palco, ma invece il pubblico ha capito benissimo“.
E per questo il teatro di improvvisazione è una scuola di vita:
tanto che spesso il suo esercizio è consigliato per potere trasferire le competenze che vi si apprendono nel contesto lavorativo,
migliorando le capacità di ascolto e di dialogo, la creatività, la gestione dell’intelligenza emotiva e soprattutto l’apertura al cambiamento ottenuta mediante una maggiore consapevolezza di sè.
A questa scuola, per quel che ne ho sentito nella nostra lunga, e volte dispersiva, sempre interessante chiacchierata, Giovanni Salvatori ha appreso sempre meglio
l’importanza di buone relazioni sociali, fondate sul reciproco rispetto; e l’importanza di autocomprensione che non ci permetta mai di dimenticare – per non ripeterle – le ingiustizie, le discriminazioni e la necessità di avere sempre il
Salvatori frequenta una scuola di teatro, la Shakespearebox di Giorgia Mazzucato
ma ha da poco
che, compatibilmente con le difficoltà conseguenti le misure di contenimento del contagio del Covid, porterà a breve in scena i suoi… mattoncini di Lego!
E poiché della vita di teatro so poco, ma sicuramente che
agli artisti non si può dire “buona fortuna”…
il grazie per il tempo che mi ha dedicato a Giovanni Salvatori no può essere che la stessa frase con cui lui ha concluso l’intervista:
Ricordiamoci sempre che l’importante è chi abbiamo accanto!
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