Bruno Leoni, amico di Radio 21 aprile Web, ci porta al Pincio, per vedere la Mira postavi da Angelo Secchi, grande astronomo vissuto nella seconda metà del 1800, e per raccontarci di un’altra mira…
“Ingegnere romano appassionato della sua città”: così è descritto Bruno Leoni, autore tra l’altro del bel libro Roma Sparita,
che oggi accompagna Radio 21 aprile Web in una ricerca che sembra una matrioska…
Perché insomma io questa storia della Mira del Pincio ve la devo proprio raccontare… a partire da quel che è più facile vedere, ossia la
Trovarla, è abbastanza facile: basta andare, appunto, al Pincio, poco prima della Casina Valadier, ed eccola lì.
Però, subito dopo, bisogna
e poi, chi è
il cui busto sovrasta la mira con l’aria di placido orgoglio di una madre che mostra il bel voto di greco meritato dalla figlia, e perché è proprio lì.
Dato che sono curiosa, chiedo a Bruno,
l’amico Bruno che conobbi grazie al suo accuratissimo sito dedicato all’Isola Tiberina,
che, ne sono certa, mi aiuterà a capire meglio, perché lui, di Roma, è attento conoscitore e generoso dispensatore di chiarimenti, curiosità, spiegazioni.
E così, vengo a sapere che
che si trovano da queste parti non sono una sola (quella che ho appena visto), ma due; e che
proprio da Bruno che ad essa ha dedicato un articolo pubblicato sul Giornale di Astronomia (2020).
Dunque, la mira.
Questa
si presenta come un foro che, sovrastato da una piccola scacchiera in tasselli marmorei, attraversa il basamento del busto di Secchi.
Come tutte le mire, è
un riscontro posto a gran distanza a nord o a sud di uno strumento meridiano (cioè in grado di ruotare solamente intorno all’asse Est – Ovest, e quindi di compiere osservazioni esclusivamente lungo il meridiano locale) per facilitare la sua rettifica in azimut, ossia l’allineamento del piano di rotazione con il meridiano locale.
La definizione è un po’ ostica per chi, come me, sia digiuno della materia; però, compreso che si tratta – in parole semplici e certo inesatte, me ne scuso anche di qui con Bruno! – di un elemento necessario ad uno strumento che serve per rilevazioni astronomiche, la curiosità diventa: ma
La storia è meno lineare di come si potrebbe immaginare; e coinvolge almeno quattro “protagonisti”: Giuseppe Cardarelli, Angelo Secchi, il Collegio Romano e la Chiesa di Sant’Ignazio.
E dato che, come dice Bruno, per capirci qualcosa un po’ di cronologia bisogna pur metterla… proviamo!
Dei quattro che abbiamo detto, il primo a presentarsi sulla scena è il Collegio Romano: nato per volere di Ignazio di Loyola, fondatore della Compagnia di Gesù i cui chierici si chiaman gesuiti.
Erano gli anni della Controriforma (Concilio di Trento, 1545-1563) e quello dell’educazione del clero era un tema molto sentito – anche Lutero aveva messo la lotta contro l’ignoranza tra i punti fondamentali di quella che diventata la Riforma protestante.
Ignazio di Loyola volle dunque garantire un ciclo di insegnamento completo, ossia dagli studi elementari a quelli universitari, e pertanto – era era il 18 febbraio 1551 – istituì il
che però, a quell’epoca, era una piccola casa in affitto situata ai piedi del Campidoglio e dovette attendere ancora una trentina d’anni, e diversi traslochi, prima di “metter radici” nella sede che conosciamo oggi.
Anche per sentir parlare la prima volta di un Osservatorio Astronomico del Collegio dobbiamo attendere: fino alla metà del 1700, quando Giuseppe Ruggero Boscovich – gesuita scienziato ed inventore che con gli osservatori aveva un feeling particolare, perché progettò anche quello di Brera – cominciò ad accarezzare il sogno di erigerne uno proprio lì.
Il sogno però rimase tale, almeno per allora.
Nel frattempo, nel 1623, compare sulla scena di questo racconto un altro protagonista: la
la cui costruzione cominciò proprio in quell’anno ed in occasione della canonizzazione di Ignazio.
La chiesa fu consacrata nel 1722; e l’ardita cupola, progettata e mai realizzata, fu “sostituita” da un dipinto trompe l’oeil, capolavoro di Andrea Pozzo, che ancora oggi possiamo ammirare.
Ed è proprio sul tetto della chiesa e su quello del Collegio che Boscovich aveva pensato di costruire l’Osservatorio.
Come detto più su, il progetto nato nel 1770, restò però tale, anche se approvato dal papa: infatti i gesuiti stavano attraversando un periodo di vera difficoltà, che culminò nel 1773 con la decisione di Clemente XIV sopprimere la Compagnia di Gesù e, per quel che riguardava il Collegio Romano, di affidarlo al clero secolare.
Entra così in gioco, per così dire, il terzo protagonista di questa storia, ossia
sacerdote secolare che diventò il nuovo direttore del Collegio e che nel 1787, grazie all’interessamento del Cardinale Francesco Saverio de Zelada, può finalmente realizzare l’Osservatorio sulla torre che ancora oggi porta il suo nome.
Nel 1804 il papa Pio VII compra alcuni strumenti per l’osservatorio, tra cui uno particolare che si chiama
“Strumento dei passaggi di Reichenbach”
e conseguentemente, nel 1822, viene posizionata una mira nei giardini della Villa Medici:
se pensiamo alla definizione della mira che ci ha dato Bruno, ci rendiamo conto infatti che uno strumento meridiano necessita appunto di una mira per potere rimanere allineato.
E’ il 1824 quando il Collegio Romano – chiamato in seguito anche “Università Gregoriana” – l’annessa Chiesa di S.Ignazio e l’osservatorio vengono riaffidati alla Compagnia di Gesù che nel frattempo era stata ricostituita.
Calandrelli non accetta di rimanere all’osservatorio e si ritira insieme ai colleghi portando via i suoi strumenti e tacendo deliberatamente l’esistenza della mira posizionata solo due anni prima.
I Gesuiti ricostituiscono l’osservatorio grazie anche alle donazioni del Padre Generale Jan Roothan, ma ancora una volta, durante la Repubblica Romana (1848/49), vengono allontanati.
Il direttore De Vico saggiamente rimuove gli strumenti acquistati dalla Compagnia; ed è a questo punto che entra in campo il quarto protagonista della nostra storia, ossia
Infatti, quando nel 1850 il Collegio torna ai Gesuiti, a causa dell’improvviso decesso di Padre De Vico è Angelo Secchi, allora appena trentaduenne, che ne viene nominato direttore.
che erano già appartenuti ai Gesuiti sulla Torre Calandrelli e, ignorando l’esistenza di quella di Villa Medici, utilizza a sud una vecchia mira esistente sull’Aventino e a nord una mira di fortuna.
così Secchi riprende l’antica idea di costruire l’osservatorio sopra la chiesa di S. Ignazio.
Questa volta l’opera riesce e l’osservatorio sorge in un anno; poiché però la diversa longitudine del nuovo osservatorio rende inutilizzabili le vecchie mire,
appunto quella che noi chiamiamo
Dell’altra mira – quella che usava Calandrelli e comunque ormai inutilizzabile – si era dunque persa la memoria; ed è stato Bruno Leoni che, come ci racconta nell’intervista, l’ha ritrovata fortunosamente, partecipando ad una visita alla Villa Medici, al cui interno essa si trova.
Sempre a Bruno Leoni devo la cortesia dell’immagine qui sotto, che ci permette di individuare la linea di osservazione delle due mire di cui abbiamo fin qui parlato.
Così, la prossima volta che vi capiterà di andare al Pincio, non dimenticate di dare un’occhiata alla Mira di Secchi, ed un pensiero a quella di Calandrelli, ossia, come l’ha chiamata Bruno,
…ricordando quanta storia e quante osservazioni le hanno attraversate!
Radio 21 Aprile Web è un progetto di @Quidmeliusroma2019 per scoprire e riscoprire la grande bellezza di Roma.
Per ascoltare l’audioepisodio, questo è il link; il video è visibile su IGTV a questo link e sul Canale YouTube della radio, a questo link.
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